Si torna a parlare del “fascicolo scomparso” relativo a Rocco Chinnici, il capo dei giudici istruttori di Palermo ucciso da un’autobomba il 29 luglio 1983, assieme ai due carabinieri di scorta e al portiere del suo stabile. Una vicenda che passa anche da Milazzo. Nei giorni scorsi 15 senatori del Movimento 5 stelle hanno infatti presentato una interrogazione urgente al ministro della Giustizia per chiedere “se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e se non intenda, per quanto di propria competenza, adottare i provvedimenti necessari ad individuare eventuali responsabilita’ circa il presunto occultamento del fascicolo che riguarda una delle peggiori stragi del nostro Paese; se, nei limiti delle proprie attribuzioni, non intenda assumere le opportune iniziative affinche’ vengano accertati i motivi della mancata iscrizione a ruolo del procedimento penale in questione, considerato che ad oggi restano ancora impuniti i responsabili della strage Chinnici”.

L’anno scorso il gip di Palermo, Lorenzo Matassa, accogliendo l’istanza della Procura, ha disposto l’archiviazione dell’indagine sul “fascicolo scomparso” riguardante l’indagine sulla strage in cui mori’ Chinnici. Il fascicolo “dormiente” e’ stato scoperto grazie alla ricostruzione di due giornalisti – Fabio De Pasquale, milazzese, ed Eleonora Iannelli – autori del libro ‘Cosi’ non si puo’ vivere’ dedicato al giudice ucciso. Nel 2013, in seguito alla ricostruzione giornalistica degli autori, la Procura di Palermo aveva aperto una inchiesta sul fascicolo “scomparso” per lunghi anni e poi ricomparso in cui cui veniva ricostruita la storia del processo sulla strage Chinnici.

Secondo alcuni pentiti, infatti, la mafia avrebbe corrotto un magistrato per “aggiustare” l’esito del terzo processo d’appello (a Messina nel 1988) e fare assolvere per insufficienza di prove i boss Michele e Salvatore Greco. Sotto accusa fini’ – sempre nel 1998 – il presidente della Corte d’assise d’appello che aveva emesso la sentenza, il milazzese Giuseppe Recupero. Ma la magistratura di Reggio Calabria, dove nel frattempo il fascicolo era stato trasferito, si dichiaro’ incompetente, spedendo tutto a Palermo. Il faldone non era tuttavia stato annotato e il fascicolo e’ rimasto “dormiente”. E’ stato il procuratore aggiunto Vittorio Teresi che ha ritrovato il fascicolo e riaperto le indagini (n. 6898/2013, modello 21) che miravano a verificare se veramente, come sostenuto da alcuni collaboratori, la mafia avesse “pagato” il magistrato Giuseppe Recupero, per ottenere una sentenza favorevole. Le indagini – condotte dal pm Amelia Luise e coordinate da Teresi – sono durate poche mesi con una richiesta di archiviazione: “non si sono raccolti elementi sufficienti a sostenere un’idonea accusa dibattimentale in relazione all’ipotesi di 416 bis per Pietro Scarpisi – avevano scritto i pm nell’istanza al gip – e comunque per la proficua prosecuzione delle indagini preliminari; le altre ipotesi di reato sono prescritte e l’indagato Giuseppe Recupero e’ deceduto sei anni fa”. Una richiesta spedita il 25 novembre 2013 e accolta dal gip Lorenzo Matassa il 6 dicembre dello stesso anno (Agenzia AGI).