A Milazzo, nel periodo compreso tra l’estate del 1920 ed il marzo del 1921, l’ordine pubblico venne alterato da gravi disordini scaturiti dalle rivendicazioni contadine rivolte in primo luogo ad ottenere gli aumenti salariali necessari a compensare il vertiginoso aumento del costo della vita causato dalla Grande Guerra appena terminata. Protagonista di quelle lotte contadine fu Giuseppe Currò (1894-1959), un contadino di contrada Due Bagli che oggi può essere ricordato a ragione come il Padre del sindacalismo Milazzese.

Giuseppe Currò

Tornato dal Fronte, Giuseppe Currò fu Vincenzo, ufficiale di complemento dell’Esercito durante il conflitto, organizzò i contadini milazzesi allo scopo di strappare ai locali proprietari terrieri alcuni aumenti salariali, oltre all’incremento della quota di prodotto-mosto spettante ai numerosissimi coloni della Piana.Milazzo era allora una cittadina dall’economia basata quasi esclusivamente sulla vitivinicoltura. Interlocutori di quella memorabile vertenza sindacale furono dunque i proprietari degli innumerevoli vigneti dislocati lungo la Piana, che proprio in quel periodo subivano gli effetti negativi di una pesante crisi vinicola, e l’infinità di coloni e semplici lavoratori alla giornata abituati ad essere remunerati con paghe da sfruttamento.

Al Currò spettò il non facile compito di coordinare quelle rivendicazioni in un clima che in quel periodo si faceva sempre più incandescente a causa del dilagare del fenomeno del cosiddetto fascismo agrario: lo squadrismo proprio allora prendeva parte agli scontri, in tutta l’Italia, al fianco dei proprietari terrieri, avvalendosi peraltro della connivenza dei poteri pubblici.

Il primo grande sciopero a Milazzo si registrò nel settembre 1920, quando i contadini milazzesi, riunitisi in Lega, sbarrarono efficacemente le vie d’accesso al centro urbano, arrecando qualche danno agli estesi vigneti della Piana. Ma i fascisti non restarono a guardare: intervenne in loro rappresentanza un eroe di guerra, il milazzese Francesco Magistri, che però ebbe la peggio, riportando una «ferita lacero contusa alla regione parietale sinistra».

A poco a poco l’organizzazione tanto dei «bolscevichi», così venivano chiamati in modo dispregiativo da fascisti e proprietari terrieri il Currò e gli altri organizzatori del locale movimento sindacale – che annoverava tra gli altri il messinese Felice Elia, allora segretario provinciale della Camera del Lavoro – quanto dei fascisti si perfezionò, sfociando nella creazione, era il marzo del 1921, della prima Camera del Lavoro milazzese, antenata dell’odierna sezione della CGIL, a capo della quale venne designato proprio il Currò, e della sezione milazzese dei «Fasci di Combattimento», diretta dai fratelli Francesco e Saverio Magistri, che precedentemente avevano fondato in città una «squadra d’azione» intitolata ai due nipoti del barone Lucifero eroicamente caduti nella Grande Guerra.

Crescevano intanto sempre più il fermento e la tensione. Le autorità governative risposero con un eccezionale dispiegamento di forze: prima 30 carabinieri e poi altri 60 militari del battaglione mobile di Catania ed ancora 30 «regie guardie», un ufficiale, un commissario e un vice-commissario di Pubblica Sicurezza.

Lo scontro raggiunse il suo apice in occasione dello sciopero del 29 marzo 1921, quando – come attesta un rapporto inviato dal Prefetto di Messina al Ministro dell’Interno – «circa 700 scioperanti armati bastoni, condotti dal Currò, scorazzarono campagne facendo smettere lavori campestri anche ai contadini non iscritti alla Lega». Seguirono scontri aspri, che finirono con il prevalere dell’intransigenza padronale e della violenza squadrista, coadiuvate dalla connivenza del potere pubblico: così scriveva Felice Elia in un inquietante telegramma intercettato dal di lì a poco superprefetto antimafia Cesare Mori, allora prefetto di Bologna, ed inviato alla sede centrale della “Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra”: «contadini Piana Milazzo sciopero, signorotti rifiutansi trattare nostra organizzazione. Autorità combutta fascismo protegge violenze padronali».

Al termine della vertenza, ai contadini lavoratori alla giornata venne riconosciuto soltanto un misero contentino salariale che aumentava di poco le loro paghe giornaliere. Nessun aumento della quota di prodotto-mosto fu riconosciuto invece ai coloni di Milazzo, che avrebbero dovuto attendere altri due decenni: le loro richieste vennero soddisfatte soltanto negli anni Quaranta, quando, grazie all’opera del comunista Tindaro La Rosa e del barcellonese on. Pino Balotta, venne incrementata del 10% la quota di prodotto-mosto del 33% circa che spettava agli stessi coloni in virtù del contratto cosiddetto di «terzeria», che prevedeva appunto la destinazione di due terzi del prodotto-mosto a favore dei proprietari e del rimanente terzo a favore della parte colonica.

 

Il sindacalista comunista Tindaro La Rosa fu dunque degno erede di quel Giuseppe Currò che vide soffocare le proprie iniziative sindacali dall’avanzata schiacciante del fascismo. A Giuseppe Currò, «vice-presidente della Società Agricola Piana di Milazzo dal 1930, contadino, ufficiale dell’esercito, dirigente sindacale e politico, consigliere comunale», a questo illustre milazzese che dedicò la propria vita alla «causa del progresso ed al servizio della società dei lavoratori» auspichiamo l’intitolazione di una strada del Comune di Milazzo, affinché ne vengano ricordati l’opera e l’impegno. A Lui, che fu colono dei Cumbo-Bonaccorsi nella proprietà di contrada Due Bagli e che i Milazzesi chiamavano affettuosamente «il Sindaco di Due Bagli», sarebbe opportuno intitolare proprio una strada di questa contrada. Un modo efficace per ricordarne la figura ad oltre cinquant’anni dalla scomparsa.

MASSIMO TRICAMO