Non solo è stato assolto perché il fatto non sussiste ma da imputato è diventato vittima. La sentenza dello scorso 3 maggio emessa dalla Corte d’appello di Messina, presieduta dal Bruno Sagone, nei confronti di C.R., infatti, ha ribaltato in appello la posizione del barcellonese. L’imputato era stato denunciato da una donna residente a Roma per  molestie perpetrate per telefono e minacce gravi di morte. Per la donna si prospetta un processo per calunnia.

Già in primo grado le accuse erano scemate, a causa delle contraddizioni della persona offesa. Il giudice di primo grado (Giovanni Mannuccia) pur ritenendo genericamente credibile la persona offesa, e quindi provate le condotte contestare all’imputato, aveva applicato l’art. 131 bis c.p. per la lievità dei fatti diversi emersi nel corso del dibattimento e, dunque, non comminando alcuna pena all’imputato.

Sentenza che ha portato la difesa dell’uomo portata avanti dall’avvocato milazzese Alfio Chirafisi, ad ipotizzare che la vera vittima era proprio il suo assistito: molestato e minacciato e ingiustamente denunciato dalla signora di Roma, solo perchè  temeva di essere, a sua volta, denunciata con il figlio, per vicende collaterali. Durante il dibattimento si sarebbero registrati cambi di versione della denunciante volti a difendere la posizione del figlio, in un momento processuale in cui la stessa non poteva ancora conoscere le future dichiarazioni dell’imputato, visto che gli aspetti ancora dovevano essere portati alla luce.

La difesa di C.R. ha sollevato anche dubbi sulla diligenza dei carabinieri di Roma, che avrebbero omesso di trasmettere i tabulati telefonici richiesti dal Pubblico Ministero che avrebbe consentito di dimostrare l’innocenza dell’imputato. Ad acuire sospetti di mala gestione degli “operanti” (Carabinieri) – secondo quanto ha sostenuto il legale – deporrebbe il fatto che la denunciante, invece di recarsi alla stazione dei carabinieri più vicina, abbia scelto di recarsi ad altra e più distante.

In conclusione oltre a denunciare la signora di Roma per calunnia, è stata chiesta al procuratore di verificare l’operato dei militari dell’arma e, nella specie, se la scelta della signora di recarsi proprio in quella stazione dei carabinieri sia dovuta a conoscenza personale con chi prestava servizio e se l’omissione degli stessi non sia stata casuale.