Non solo gli appartamenti trasformati in case a luci rosse rimangono sequestrati ma dovrà pagare anche  2000 euro alla Cassa delle ammende. La Terza sezione della Cassazione presieduta da Elisabetta Rosi ha rigettato il ricorso presentato dal sacerdote mamertino Domenico Siracusa, 83 anni. Si era rivolto alla suprema corte per impugnare il provvedimento del Tribunale della Libertà di Messina che a sua volta confermava al prelato il sequestro preventivo dei beni nell’ambito di una operazione che ha portato alla chiusura di due “case del piacere” in via Spiaggia di Ponente.

Il sacerdote, è bene chiarirlo, non aveva un ruolo attivo nella gestione. Anche se, secondo le accuse, era a conoscenza dei movimenti sospetti che avvenivano nei locali visto che i condomini lo avevano sollecitato più volte a prendere provvedimenti.

Dunque, perché gli appartamenti rimangono sequestrati? La sentenza 1773/2016, resa di dominio pubblico nei giorni scorsi grazie al quotidiano Il Sole 24 ore, è controversa. La terza sezione presieduta dal giudice conferma, infatti, «la locazione a prezzi di mercato di un appartamento a una prostituta, pur nella consapevolezza dell’”attivita’” della stessa, non integra di per se’ il reato di favoreggiamento della prostituzione, in considerazione del fatto che mettere a disposizione un appartamento non rappresenta una evidente collaborazione nel meretricio. Al contrario – sottolineano i giudici – il reato appare configurabile quando, oltre alla disponibilità dei locali ed alla consapevolezza in merito all’attività svolta all’interno degli stessi, si forniscono altri benefit che, effettivamente, favoriscono l’esercizio della prostituzione come inserzioni pubblicitarie, fornitura di profilattici, ricezione di clienti o accoglienza».

E a questo punto le motivazioni entrano nel merito della vicenda sollevata dal ricorrente, don Siracusa. Alcune motivazioni tecniche vengono rigettate poiché «non sindacabili in questa sede» ma poi si scrive che «l’ordinanza evidenzia alcune circostanze di fatto che permettono di differenziare il caso concreto: il fatto che nessuno – tanto meno la conduttrice formale – abitasse stabilmente negli appartamenti, in cui dimoravano esclusivamente prostitute “di passaggio”, destinate ad operare in loco per pochi giorni per poi essere sostituite da altre; la consapevolezza da parte dell’indagato della destinazione degli appartamenti ad uso esclusivo e stabile dell’esercizio della prostituzione; infine, la prestazione di un “servizio aggiuntivo”, costituito dall’accoglienza di una delle prostitute, cui Siracusa aveva consegnato le chiavi dell’appartamento e dalla quale aveva ricevuto direttamente un “canone di locazione” del tutto differente da quello concordato con la formale conduttrice».

Naturalmente si tratta di accuse che devono essere ancora oggetto di una sentenza del tribunale penale. Saranno vagliate dal Gup  il prossimo 8 febbraio le posizioni dei quattro indagati. Oltre al sacerdote difeso dagli avvocati Bendetto Calpona e Sebastiano Campanella, sono coinvolti Rosaria Rita Filice, 65 anni, difesa dagli avvocati Davide Formica e Maura Milioti; la brasiliana Patricia Madalena Da Paz, 35 anni, difesa dall’avvocato Diego Lanza; la barcellonese Giuseppina Lembo, 39 anni, difesa dall’avvocato Giorgio Leotti.

Il giudice dovrà stabilire l’eventuale rinvio a giudizio dei quattro imputati che dovranno rispondere – a vario titolo – di sfruttamento della prostituzione. Siracusa e Filice in qualità di proprietari degli immobili nei quali si praticava sesso a pagamento; Da Paz nella qualità di locataria e sublocataria; Lembo in quanto accusata di intermediaria che riscuoteva anche i canoni di locazione di un appartamento di Filice.

Il caso scoppiò ad aprile dell’anno scorso quando gli agenti del commissariato di polizia fecero irruzione nelle abitazioni sequestrando gli immobili di via Spiaggia di Ponente. A denunciare la presenza delle case del piacere, popolate da giovani donne sud americane, i condomini esasperati dalla situazione e dal continuo via vai.