Gianmarco Amico

Gianmarco Amico

Domani, venerdì 22 luglio,  il Castello di Milazzo, si tinge di rosa per omaggiare con l’arte, la cultura e la musica, la bellezza dell’essere donna. Domani notte il maniero rimarrà asperto per ospitare la Notte Rosa 2016, manifestazione organizzata dall’associazione Atheneum, con il patrocinio del comune di Milazzo e Oggi Milazo come Media partner, per sensibilizzare sulla violenza di genere.

Tra le proposte artistiche presenti all’evento, nel quale saranno coinvolti 300 artisti, la Cripta del Duomo Antico ospiterà la mostra fotografica di Gianmarco Amico, dal titolo Le vedove dell’amianto. Un itinerario fotografico intenso e dal colore terso, che regala l’immagine forse più autentica del ruolo delle donne del nostro tempo, fedeli compagne di vita nella buona e nella cattiva sorte. Donne coraggiose, rimaste al fianco dei mariti strappasti a questa vita per aver cercato nella fatica del loro lavoro, nella fabbrica delle fibre di amianto, libertà e dignità.

Attraverso gli scatti in bianco e nero del giovane fotografo, il racconto appassionato per immagini di un dolore soffocato e non ancora sopito dal tempo, di una rabbia gentile che chiede ancora giustizia, di vite che troppo presto hanno dovuto vestirsi di lutto.

Il progetto fotografico di Gianmarco Amico nasce dal bisogno di incontrare il coraggio di queste vedove e portalo fuori dalle mura di casa, affinché quel dolore privato possa diventare il dolore di tutti, perché di tutti deve essere l’indignazione e la rabbia per queste morti bianche, bianche come la polvere d’amianto che ha stretto il fiato delle loro vite.

«Sopra il cancello del campo di sterminio di Auschwitz campeggiava la scritta “Arzbeit macht frei” (dal tedesco: “Il lavoro rende liberi”) – si legge in una nota stampa –  Anche nella fabbrica di fibre di amianto di Archi, il lavoro che avrebbe dovuto rendere liberi gli operai, ha trasformato le loro vite in gabbie di sofferenza. Per decenni, in quella fabbrica, operai inconsapevoli hanno utilizzato amianto per la lavorazione di manufatti, incamerando nei loro polmoni particelle di polvere bianca che li avrebbero condotti ad una morte lenta, affanno dopo affanno, respiro dopo respiro».

A testimoniare quelle vite fatte di lavoro e sacrificio, spezzate dall’asbestosi, sono rimaste le loro vedove e quelle divise intrise di amianto che hanno lavato e rammendato per anni. Donne eroiche, che con amore e devozione hanno assistito i patimenti di coloro che cercando libertà e dignità attraverso il lavoro, vi hanno trovato anche la morte.

La soffocata testimonianza di alcune di esse, custodi del ricordo di una vita che fu, affidata alle foto e ai cimeli appartenuti ai mariti, segni di un dolore vivo come un fiore sulla loro tomba.