Oggi ospita uno dei tanti bed & breakfast presenti in città. La sua facciata è contrassegnata da un fascio littorio, che ne testimonia i lavori di rifacimento durante il Ventennio. Sino ai primi decenni del Novecento questo fabbricato ospitò la severa sede del Monte di Pietà. Ad istituirlo fu, qualche giorno prima di morire, Don Antonino Lucifero Lombardo (1660-1744), un aristocratico milazzese, seppellito nella chiesa di S. Maria Maggiore, che con testamento consegnato al notaio Pietro Mora decideva di fondare «il Monte sotto titolo della Pietà per sovvenimento de’ poveri e facile commodo delle persone che [avrebbero voluto] pignorare dell’istesso modo e maniera suole pignorare il monte grande della Città di Messina». Fu lo stesso Don Antonino a scegliere quale sede del Monte di Pietà la propria «casa solerata (…) posta in questa Città ed in contrada della Marina, confinante colla casa grande del dottor Don Antonino Cumbo e Marina pubblica».

L’ex Monte di Pieta’

Presso l’Archivio Storico Comunale (Palazzo D’Amico) si conserva tutta la documentazione gestionale di questo storico edificio, la cui amministrazione venne trasferita nel tempo alla locale Congregazione di Carità e successivamente all’Ente Comunale di Assistenza (ECA), disciolto il quale (anni Settanta) l’edificio venne trasferito per legge al patrimonio immobiliare del Comune di Milazzo, che alcuni anni fa lo ha posto in vendita. Una corposa documentazione d’archivio da cui emergono le centinaia e centinaia di nominativi di poveri Milazzesi che per circa due secoli, spinti dal bisogno, impegnarono i propri oggetti di valore. Un luogo, questo fabbricato, in cui si consumarono indubbiamente un’infinità di scene di dolore.

Tra la documentazione d’archivio custodita a Palazzo D’Amico emergono altri aspetti interessanti, come la pratica del furto di pegni denunciato nel 1759, pratica giunta sulla scrivania del marchese Fogliani, vicerè del Regno di Sicilia. Ma anche l’ultimo rifacimento della facciata eseguito nel 1864 prima dell’altro intervento di rifacimento voluto dal Regime e “firmato” col fascio littorio ancora visibile.